Lavoro nei campi ed allevamento

Gran parte della popolazione rivaltina, in passato, era bracciante, a servizio dei grandi proprietari terrieri. La produzione ortofrutticola, ai tempi, era alle stelle: ciliegie, uva colombana (dolce, con chicchi piccoli che si lasciava ad appassire appesa ad un gancio in cantina), pesche, pere cosce, susine, fichi, cachi, carciofi (molto impiegati in cucina, specie fritti durante le feste), pomodori (utili per la pappa al pomodoro e le bruschette), cavoli (per la zuppa di cavolo nero), zucchini, etc.
In particolare le pesche del Berta, una qualità grande che si spaccava a metà con le mani (per questo dette “spicchiarelle”). C’era chi preferiva le “Berta prima” perché più dolci, chi le “Berta seconda” (denominazione dovuta al diverso periodo di maturazione). Le pesche del Berta erano protagoniste assolute, insieme al vino, durante la Sagra delle Pesche e del Vino, inaugurata nel 1957 e durata poche stagioni, in cui si premiava un vincitore tra i diversi coltivatori locali.


Il lavoro dei campi aveva un carattere stagionale ed era particolarmente faticoso in alcuni periodi dell'anno, nel momento della raccolta veniva sempre coinvolta tutta la famiglia. 
In estate, in particolare, quando le giornate erano molto lunghe e i contadini si levavano all'alba per andare a lavorare la terra, dopo pranzo "andavano a fa' 'r maggino", ovvero andavano a riposarsi. 
La frutta veniva raccolta in cassette di legno e, alla sera, caricate da un commerciante di Chianni che le andava a rivendere al mercato o ai fruttivendoli di altre località e, il venerdì, di ritorno dal mercato, portava il pesce fresco da Viareggio e Livorno.

La produzione di Vino e Olio, virtù delle distese collinari circostanti ricoperte di vite ed ulivi, rappresentava una delle maggiori fonti di sostentamento. Tra le principali produzioni si ricordano quelle delle cantine e dei frantoi del Cortesi, del Falugi, dei Del Lucchese, del Gotti. Il vino e l’olio venivano venduti a damigiane o a botti a privati e a mediatori nelle zone di Volterra, Livorno, Pisa e Pontedera ed era particolarmente richiesto da quelli che, ai tempi della guerra, sfollati dalle loro città, avevano trovato riparo a Rivalto. 

Lungo le colline sottostanti, anche la coltivazione di cereali, in particolare grano e frumento, si diffuse con la propaganda autarchica durante il ventennio fascista e, successivamente, con l’arrivo di sfollati siciliani a seguito del terremoto nella Valle del Belice del 1968. 
Con l’andare del tempo, la coltura dei cereali divenne sempre più intensiva, fino alla comparsa delle prime macchine agricole e dei primi trattori che, progressivamente, si sostituirono al lavoro della trazione animale e dei braccianti.

Ma le risorse dei campi circostanti sono infinite, ricchi di erbe per infusi e tisane (camomilla, ortica, valeriana), erbe mediche (sambuco, corniolo, tarassaco, melissa), erbe aromatiche (rosmarino, salvia, nepitella, maggiorana) e fiori di campo (tra cui spiccano i ciclamini), così come le risorse dei folti boschi, dove, oltre al legno da ardere o da lavorare, i "maestri del fuoco" costruivano le caratteristiche carbonaie a forma di montagnola conica per ricavare il carbone. Sempre andando per boschi, si possono facilmente trovare funghi, tra cui anche i porcini (più comunemente chiamati "morecci"), more, corbezzoli, ginepro, bacche ed altre prelibatezze selvatiche. I boschi di Rivalto sono particolarmente caratteristici per le castagne che danno origine alla celebre Sagra del Marrone di Rivalto in cui il marrone, speciale qualità di castagna tipica del luogo, viene proposto arrostito, bollito (le ballotte), in castagnaccio e come accompagnamento di altre ricette tradizionali.

Ancora oggi a Rivalto sono presenti le arnie di alcuni apicoltori che producono miele, per lo più derivato dal nettare dei fiori e dal castagno.

Anche la cacciagione continua a dare ottimi risultati (cinghiali, tordi, lepri, fagiani, etc.). Non è un caso che si tratti di una passione piuttosto diffusa tra Rivalto e Chianni che giunge al culmine con la nota Sagra del Cinghiale di Chianni

L’allevamento era presente, sia in forma domestica (con pollai nei cortili e conigliere nei fondi di casa) che in forma estensiva (pascoli ovini e bovini, allevamenti di maiali e vitelli, pollai di grande taglia). L’uovo fresco da bucare con l’ago e bere o il coniglio e il pollo da ammazzare per le feste non mancavano mai. 

Per latte e formaggi ci si affidava ai pastori e agli allevatori locali. Gregorio Capponi aveva l’ovile alle porte di Canapaia, d’estate portava a pascolare le pecore nel Pianone di Poggiopiano e produceva ottimi formaggi artigianali (pecorino, ricotta, raveggiolo, etc.).
Silvana Matteoli, ogni mattina, talvolta accompagnata dai figli, scendeva con il suo trattore dai Poggi e attraversava il paese facendo visita nelle case per portare, nei caratteristici bidoni di alluminio, il latte appena munto per la colazione dei più piccini: non era quello solo il momento della consegna del latte, era un momento di festa, risa e scherzi che solo la sua presenza allegra e la sua voce squillante sapevano animare.