Paese che vai, porte che trovi!
Tra gli aspetti e le peculiarità che, spesso, esprimono lo spirito e le usanze più insolite di un paese, si annoverano proprio le porte. Le porte, nella vita di tutti i giorni, rappresentano un punto di passaggio e al contempo di contatto: si entra e si esce dalle porte, le si aprono al mondo e le si chiudono gelosamente per custodire i segreti di casa, vi ci si sofferma ad accogliere o a salutare chi è venuto a farci visita, consumando, proprio sulla soglia, le ultime chiacchiere… se solo avessero la parola, ne avrebbero di cose da raccontare le porte!
Come la porta del palazzotto del Sor Ottorino Falugi, in
Piazza della Compagnia, dove, in passato, era affissa una targa con sù scritto
che, se da un lato testimoniava la generosa ospitalità del Sor Ottorino, dall’altra esplicitava il volere di non essere disturbato durante i pasti dai numerosi andirivieni che animavano la su' 'asa.
“A chi porta, porta aperta.
Porta chiusa a chi non porta.
Ma durante l'ora dei pasti,
porta chiusa
anche a chi porta.”
che, se da un lato testimoniava la generosa ospitalità del Sor Ottorino, dall’altra esplicitava il volere di non essere disturbato durante i pasti dai numerosi andirivieni che animavano la su' 'asa.
Anche la porta della cantina del Cortesi ha assistito a giorni drammatici durante i bombardamenti tedeschi della Seconda Guerra Mondiale, diventando luogo di passaggio di rivaltini e sfollati delle località limitrofe in cerca di un riparo sicuro.
Per non parlare delle porte delle chiese di Rivalto, che hanno accompagnato la storia locale, dalle contese tra diocesi nel Medioevo ai provvedimenti nei confronti delle proprietà ecclesiastiche operate dai Governi tra il XVIII ed il XIX sec. e che tante anime, più o meno fedeli, hanno visto transitare per le loro soglie.
A Rivalto, come del resto in tutta la Toscana, la porta
diventa l’uscio di ‘asa. La maggior parte delle porte di Rivalto è in legno: da
quelle realizzate dagli artigiani storici del paese (si racconta che molti
degli usci rivaltini siano opera del Cecchetti, tra i più abili maestri artigiani del
legno di Rivalto), a quelle riadattate a partire dai portali delle cantine, a quelle mai
trattate dei vecchi fondi che, con quell’aspetto trascurato, rivelano un
fascino decadente.
A Rivalto, fino a qualche tempo fa, era usanza lascià la ‘hiave all’uscio: la comunità
rivaltina si conosceva tutta e vigeva massima fiducia nel prossimo, nonché grande
senso di accoglienza.
La casa di Dino e Dina Gotti era un “porto di mare”, sempre pronta ad accogliere quanti in cerca di ospitalità, di un bicchiere di vino, di un pasto caldo ("si faceva sempre 'n tempo ad andà nello stallino o ar pollaio per ammazzà 'n conigliolo o 'n pollo"), o quanti desiderosi di porgere un saluto. Per non parlare poi di quando nei locali di casa era ospitato l'Ufficio Postale e c'era un continuo andirivieni di persone.
La casa di Dino e Dina Gotti era un “porto di mare”, sempre pronta ad accogliere quanti in cerca di ospitalità, di un bicchiere di vino, di un pasto caldo ("si faceva sempre 'n tempo ad andà nello stallino o ar pollaio per ammazzà 'n conigliolo o 'n pollo"), o quanti desiderosi di porgere un saluto. Per non parlare poi di quando nei locali di casa era ospitato l'Ufficio Postale e c'era un continuo andirivieni di persone.
E che dire del proverbio “meglio un morto ‘n casa che un pisano all’uscio”
a cui, è usanza, che un pisano risponda “Che Dio t’accontenti!”? Usato spesso dai Livornesi, con tono
disaccrante per la storica rivalità tra le due città (risalente ai tempi del dominio
fiorentino che sancì il declino della Repubblica marinara di Pisa e lo sviluppo
del porto di Livorno), sembrerebbe avere origine a Lucca, in età medievale,
quando la Repubblica di Pisa, per riscuotere i dazi, era solita attaccare e saccheggiare la lucchesia -regione nota per la parsimonia-, per cui si scongiurava la presenza di un pisano alla porta.
In vero, sugli usci, sono presenti nutriti riferimenti anche in letteratura:
da "I Promessi Sposi", nell'episodio incentrato sul senso di maternità della madre di Cecilia, figlioletta morta di peste, riscritto da Alessandro Manzoni durante la sua "risciacquatura dei panni in Arno" per conferire al romanzo la purezza della lingua colta parlata allora a Firenze.
scriveva Giosuè Carducci in "San Martino" descrivendo l'atmosfera autunnale di un borgo della Maremma Toscana in occasione della festa dell'11 Novembre che sancisce la fine del lavoro nei campi e l'inizio della svinatura del vino.
Di seguito una raccolta di fotografia su porte, portoni e portali rivaltini, ognuno con la sua storia e i suoi segreti.
In vero, sugli usci, sono presenti nutriti riferimenti anche in letteratura:
"Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunciava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa..."
da "I Promessi Sposi", nell'episodio incentrato sul senso di maternità della madre di Cecilia, figlioletta morta di peste, riscritto da Alessandro Manzoni durante la sua "risciacquatura dei panni in Arno" per conferire al romanzo la purezza della lingua colta parlata allora a Firenze.
"...sta il Cacciator fischiando
sull'uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri
com'esuli pensieri
nel vespero migrar"
sull'uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri
com'esuli pensieri
nel vespero migrar"
scriveva Giosuè Carducci in "San Martino" descrivendo l'atmosfera autunnale di un borgo della Maremma Toscana in occasione della festa dell'11 Novembre che sancisce la fine del lavoro nei campi e l'inizio della svinatura del vino.
Di seguito una raccolta di fotografia su porte, portoni e portali rivaltini, ognuno con la sua storia e i suoi segreti.